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PFAS, Ordine dei Geologi: “Noti da tempo, ma manca una normativa che dia indicazioni su come intervenire”

In merito al problema dell’inquinamento da Pfas in Veneto, l’Ordine dei geologi regionale sottolinea: «Dal punto di vista scientifico i PFAS sono noti da tempo. I “nuovi contaminanti”, sostanze non normate per le acque sotterranee, sono un problema attuale. La comunità scientifica (Cnr in testa) conosce e studia moltissimi nuovi composti potenzialmente contaminanti, ma se questi non vengono  inseriti nelle tabelle di riferimento per le acque sotterrane e per le acque ad utilizzo idropotabile, non verranno ricercati».

Il problema fondamentale sta proprio qui. «Tali composti non sono sistematicamente ricercati,  e si finisce per “scoprire” il problema solo quando questo si è già manifestato e diffuso a scala provinciale o regionale.

Le strutture idrogeologiche dove i contaminanti nuovi e vecchi “scorrono” non sono studiati adeguatamente e la normativa non dà indicazioni su come intervenire qualora vengano individuati».

L’Ordine evidenzia, inoltre, una contraddizione: «Le acque sotterranee seguono, dal punto di vista normativo, tre riferimenti differenti: acque sotterranee, acque potabili e acque minerali. I limiti di legge per le varie tipologie di acque sono molto diversi: ipoteticamente la medesima acqua con il medesimo chimismo potrebbe essere conforme alla legge per la potabilità, ma contaminata per quella per le acque sotterranee. Certamente questi riferimenti disomogenei e talora assenti non aiutano l’utente ad avere chiarezza su cosa sta bevendo».

L’Ordine evidenzia che «l’idrogeologia sperimentale oggi permette approfondimenti elevatissimi sia in ambito di indagini sia di modellazione e permetterebbe agli studiosi ed agli enti di avere gli strumenti necessari per capire quanto contaminante c’è in falda, dove sta andando e da dove viene, che velocità ha, quanto durerà e dove andrà a finire. Basta solo voler investire nel proprio territorio».

«Ci si chiede quanto tempo ancora dovrà passare perché si spinga verso uno studio scientifico approfondito dei propri Acquiferi Regionali – conclude l’Ordine -, per trovarsi già pronti nel caso, non remoto, che compaia qualche altro nuovo contaminante oltre ai PFAS, come ad esempio le sostanze radioattive presenti nelle acque sotterranee destinate al consumo umano».

 

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